La coazione a ripetere può essere una mancanza di speranza ma mi sembra ora che continuare a rifare la stessa cosa perché risulti diversa è più che un esercizio, è l’unica libertà di trovare.
Aldo Rossi, Autobiografia scientifica
Il 4 febbraio 2016, presso la Fondazione Giuliani di Roma inaugura la prima mostra di Giorgio Griffa dedicata esclusivamente alle opere su carta, a cura di Andrea Bellini. Il curatore intende mettere in evidenza l’importanza di questo aspetto dell’opera dell’artista torinese, presentando circa cinquantacinque lavori, il cui arco cronologico spazia dalla fine degli anni sessanta fino al 2015. A partire dal 1967, fino alle sue opere più recenti, tutta la ricerca di Griffa – una delle personalità più importanti della pittura astratta e della neoavanguardia italiana – si fonda su tre coordinate fondamentali: il ritmo, la sequenza e il segno. Una modalità che l’artista pratica con coerenza anche attraverso il disegno. Come sostiene l’artista stesso nell’intervista con Hans Ulrich Obrist (pubblicata nel catalogo della mostra, Mousse Publishing), il disegno non rappresenta il “progetto per il quadro”, anche se in molti casi fornisce delle idee per la pittura, ma costituisce un aspetto autonomo del lavoro, una sorta di attività parallela a quella della pittura. I suoi delicati disegni e acquarelli, sempre di diverso formato, conservano insomma la forza delle sue grandi opere su tela. Come quelle rappresentano la verifica costante del linguaggio e delle sue possibilità narrative e liriche, ne ampliano il repertorio senza voler essere esercizi definitivi o chiusi.
Ciò che vi è di Universale nelle opere su carta, come nelle sue pitture, è proprio questa idea della “memoria” del segno, questa volontà di voler individuare e praticare un gesto semplice che l’uomo ripete e conosce da decine di migliaia di anni, a partire dal Paleolitico. La carta cessa di essere il ricettacolo di un’immagine compiuta, un luogo definitivo, e diventa frammento fisico di uno spazio discontinuo ed in espansione. Il metodo di lavoro è semplice ma anche rigoroso: l’artista sceglie ogni volta le componenti elementari del suo intervento, cioè il protocollo di realizzazione del lavoro. Data la misura della carta ed il tipo di mezzo (matita, china, acquarello) si tratta di scegliere la lunghezza dei segni, e quindi il loro ritmo e la loro direzione. Il momento successivo è rappresentato dalla decisione relativa al “luogo” di inizio dell’opera. Molto spesso l’artista comincia a tracciare i segni partendo in alto a sinistra, come avviene quando si scrive, ma il lavoro può cominciare indifferentemente anche da destra verso sinistra, oppure anche dal basso verso l’alto. Il disegno quindi non invade la superficie secondo un progetto globale ma è destinato a riempire lo spazio poco a poco seguendo la direzione, il ritmo, la frequenza scelta. La stesura dei tratti avviene in uno stato che l’artista stesso definisce di “concentrazione passiva”: la mano e la mente eseguono il protocollo scelto in uno stato di raccoglimento meditativo, quasi come in un esercizio zen. In mostra si può seguire tutto lo sviluppo del lavoro di Griffa, dalla fase più minimale della fine degli anni sessanta e del decennio settanta, fino al tratto più decorativo e libero degli anni ottanta, mentre nel corso degli ultimi venti anni compaiono nelle opere anche i numeri (dedicati al canone aureo) e segni più complessi.
La mostra nasce in collaborazione con il Centre d’Art Contemporain, Ginevra, Bergen Kunsthall, Bergen, e il Museu de Arte Contemporânea de Serralves, Porto. Per l’occasione sono stati pubblicati due cataloghi con Mousse Publishing, Giorgio Griffa: 1965 – 2015 e in vista della mostra alla Fondazione Giuliani, Giorgio Griffa: Works on Paper.